Eros e sue ombre

Mostra di Francesca Cesaroni a cura di Gianni Mercurio.

Mercoledì 26 giugno 2019 presso la Marisa del Re Temporary Gallery – Centro per l’arte contemporanea a Palazzo Venier – Salita del Grillo 17 – a Roma.

Lo spazio, all’interno di Palazzo Venier – nel cuore del Rione Monti – è il contesto ideale per accogliere la mostra che ha come obiettivo fondamentale quello di parlare dell’uomo e del suo mondo interno, delle dinamiche relazioni con l’altro da sé, e che rappresenta il fil rouge dell’intera ricerca intellettuale dell’artista.

Eros e sue ombre

Come la stessa Francesca Cesaroni racconta, «Eros come simbolo vivo, aperto, dinamico, impregna le sculture in modo tangibile, scoperto, tattile. In un gioco delle parti, fra passionalità e irruenza, delicatezza, sogno e rapinosità, si manifesta il dio pagano e rimbalza e gioca fra i doppioni d’ombra, in un mondo arcaico. Ritorna enigmatico nelle fisionomie ambigue della fotografia, che rivelano il suo insidioso gioco di vertigine, contrappunto d’ombra di ciò che ognuno sa di Eros».

In mostra dodici sculture in bronzo (eccezion fatta per una in resina e per un’altra in argilla cruda) che dialogano e si confrontano con fotografie di grande formato e dal forte impatto emotivo, realizzate dall’artista. Le opere hanno l’obiettivo di esprimere una caratterizzazione dello spirito, una visione interna dell’esperienza umana, mettendo a nudo l’uomo rivelandone la sua intimità e il suo Io più profondo. Una fra le sculture in bronzo, dal titolo “Il Seminatore“, è stata realizzata anche in versione a grandezza naturale. Rappresenta un uomo nell’atto di fecondare la terra e, come anche le altre sculture, verrà esposta e presentata al pubblico per la prima volta.

Gianni Mercurio, curatore della mostra così illustra i lavori: «Il realismo delle sculture di Francesca Cesaroni non deve ingannarci: rappresentano corpi, però non fanno riferimento a esseri reali, evocano piuttosto delle situazioni oniriche. Tuttavia non si muovono nemmeno nei territori dell’inconscio, a dispetto della formazione di psicologa e psichiatra dell’artista, ma in quelli del mito. Alludono perciò alla nostalgia, perché il mito non è altro che una favola colta che ci ricorda quello che abbiamo perduto. Sono frammenti, forse, di un’autobiografia spirituale».

Le sculture rappresentano l’incontro di corpi che si fondono insieme e si muovono raccontando l’avventura di Eros. Anime che vengono proiettate sulle pareti rafforzando il messaggio e costruendo una forte tridimensionalità dovuta al potente lavoro della luce e alla cruda componente materica. La presenza delle ombre speculari richiama l’aspetto oscuro ed inconscio della personalità umana.

Francesca Cesaroni e Achille Bonito Oliva

Il percorso museale si snoda all’interno delle cinque sale, ognuna fra le quali rappresenta uno e tutti gli elementi dell’animo: fragilità, abbandono, fiducia, ossessione, attesa. Un’ unica scultura in argilla cruda rappresenta il volto di Eros, figura mitologica romantica e malinconica, rivisitata in chiave contemporanea.

Francesca Cesaroni è nata a Roma, dove vive e lavora. Psicologa e psicoanalista junghiana, formatasi in ambienti psichiatrico-fenomenologici, ha svolto attività clinica privatamente e soprattutto in contesti universitari. Dal 1995 al 1999 ha insegnato Psicopedagogia alla facoltà di Psichiatria del Policlinico Universitario di Napoli. Nel 2006 abbandona l’esercizio della professione e la ricerca teorico-clinica per la ricerca artistica, attuando un cambiamento radicale nell’esteriorità dei modi e degli strumenti espressivi, scegliendo la scultura e l’immagine fotografica come mediatori preferenziali, ma mantenendo la stessa centralità dell’attenzione sull’Uomo e sul suo mondo interno, sulle dinamiche relazioni con l’altro da sé, sulle tematiche del narcisismo, fil rouge della sua intera ricerca intellettuale. Nel 2008 ha realizzato una personale – curata da Ludovico Pratesi – di sculture e lavori fotografici a Roma – in via Giuseppe Montanelli 11, all’interno di spazi di sua progettazione architettonica -, dal titolo Luoghi per Narciso. Ha esposto in alcune collettive italiane (Galleria Enzo Mazzarella a Roma – 2009 – per “Nessuno tocchi Caino”; Palazzo dei Principi di Carpegna, Carpegna edizione 2007/2008) ed in varie edizioni per EAC (Eectronic Art Cafe), a cura di Achille Bonito Oliva e Umberto Scrocca. Nel dicembre 2014 ha realizzato una mostra-performance fotografica – a cura di A. Bonito Oliva – dal titolo Architetture del Sé.

Marisa del Re, gallerista internazionale, che per oltre trent’anni ha dato luce a numerosi artisti a New York ed a Montecarlo, ha scelto di presentare Francesca Cesaroni perché «nel mio lungo interesse e amore per la scultura, ho sempre trovato uno speciale fascino per la tridimensionalità del messaggio artistico. Questa è la ragione per cui sono rimasta delusa dalla scultura contemporanea. La vera scultura deve rappresentare i moti dell’anima che dalle mani dell’artista vengono trasferiti al fruitore. Come è il caso di Francesca Cesaroni che, alla vecchia maniera, ci dà l’emozione del magico rapporto tra uomo e donna. In poche parole Amore. Amore che ci rende esseri umani e ci connette con il divino».

Catalogo - Eros e sue ombre

«Nella mia lunga carriera di gallerista a New York ho avuto il dono di incontrare molti artisti. ma nel mio lungo interesse e amore per la loro arte, la scultura ha sempre trovato un posto speciale nel mio cuore […]. Così quando aprii la grande Galleria 57th Street decisi di inaugurarla con una mostra intitolata Sculptures and Related Drawings. La mostra consisteva di sculture di famosissimi artisti e dei disegni preparatori per la scultura. Il successo della mostra fu immediato ed enorme… e questo mi portò all’idea di fare un’esposizione delle grandi sculture monumentali. Il mio sogno. Riuscii a convincere il Principe Ranieri di Monaco a ospitarla nei giardini di Montecarlo nel 1987. Merito della grande forma d’arte che si chiama scultura. Dopo tante delusioni con la scultura contemporanea, quando scoprii Francesca Cesaroni, rimasi molto emozionata […]» (Marisa del Re)

La mostra di Francesca Cesaroni Eros e sue ombre, curata da Gianni Mercurio, catalogo a cura di Gangemi Editore (Roma).

Ascolta l’intervista radiofonica di Francesca Cesaroni a Radio Godot (dal punto 2:27:00) e leggi l’articolo del Corriere della Sera.

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Untitled (carta fotografica su forex - 1.70 m x 1.10 m)

INTERVISTA DI GIANNI MERCURIO A FRANCESCA CESARONI

La tua formazione nella psichiatria e psicanalisi in che modo ha influenzato il tuo approccio all’arte?

Credo che fare psicologia, scegliere di occuparsi ogni giorno della psiche degli altri non sia una scelta nel senso ordinario del termine: piuttosto un destino psicologico, una necessità. Proprio come fare arte. Non si “sceglie” di essere artisti o di riuscire ad interpretare la mente di un altro. E’ qualcosa che, come direbbe Jung… “Accade, Deo concedente”.

È l’arte che sceglie te. In effetti, come vedi il mio pensare è sempre frutto della mia formazione e l’oggetto del mio interesse non è mai cambiato. Lavoro da sempre sulla complessità dell’Uomo, anche se con altri strumenti.

Il fatto di essere “junghiana” ha avuto un significato particolare in questo approccio? Jung affrontava l’inconscio in modo diverso, con risultati più creativi. In effetti dal suo Libro Rosso, pubblicato cinquant’anni anni dopo la sua morte, si evince che Jung considerava l’inconscio come una potente forza creativa, una specie di sesto senso capace di aiutarci a sfruttare la nostra immaginazione e creatività, al punto da sentirsi connesso più al processo artistico che alla medicina.

Certamente non avrei potuto che sposare il pensiero junghiano, per via della mia personalità, molto affine alla sua maniera culturale. E’ vero che Jung, a differenza di Freud, aveva questa visione dell’inconscio, come bacino inesauribile di ogni forza generatrice, immaginativa. Per questo ha dato vita al concetto di “inconscio collettivo”, grazie ai suoi studi antropologici. Ma da qui ci spingeremmo troppo lontano.. Per ciò che riguarda il mio approccio all’arte non credo che abbia avuto infuenze dal pensiero di Jung. Semmai il mio modo di pensare l’arte può essere stato condizionato dalla mia formazione culturale. Per me la psicologia analitica è stata una grande passione, ma è stato un lavoro, una professione: l’arte è la mia identità.

Avevi il desiderio di essere artista già da prima di iniziare?

Non ho mai avuto il desiderio o l’ambizione di essere artista. Ho cominciato a fare sculture e fotografe già a 10 anni e mi è sempre sembrato una cosa del tutto naturale, mi faceva stare bene. Non ho mai avuto maestri, se non frequentando da sola musei, adolescente, per rimanere sopraffatta dalla grandezza, dalla bellezza del lavoro dei maestri antichi. L’arte non era troppo apprezzata nella mia famiglia, ho avuto un padre ingegnere, tutto razionalità. Così nella scelta degli studi ho preso una via più “professionale”. Ma come vedi, ha poi prevalso la mia prima natura. Si potrebbe dire con Jung che il mio “processo di individuazione” mi ha portato a realizzare me stessa, ritornando sui miei passi. Per questo parlavo d’identità, rispetto al mio rapporto con l’arte: sono riuscita a raggiungere me stessa per una strada tortuosa, ma forse necessaria.

La struttura narrativa dei tuoi lavori cerca un rapporto con l’osservatore mediante la bidimensionalità della foto e la corposità della scultura. Cosa ti  ha fatto scegliere la fotografia e la scultura?

Sono nate insieme, come ti dicevo, da bambina. Ma la ricerca artistica di adulta è sempre stata tesa verso la tridimensionalità, anche nella fotografia. La luce è l’elemento costruttivo delle mie immagini fotografche, che acquistano volume e creano un’alleanza con le sculture. Un gioco di complicità.

Che differenza c’è nell’approccio creativo rispetto a due mezzi espressivi come la fotografia e la scultura, che richiedono tra l’altro una preparazione tecnica di partenza? Come hai affrontato questo aspetto, cioè delle tecniche?

Non ho mai appreso tecniche. La mia tecnica è sempre stata del tutto personale con entrambi i mezzi espressivi. C’è una grande differenza fra il lavoro fotografco e la scultura per me. Nella fotografia non lavoro mai da sola. Il mio è un lavoro sull’Uomo e l’elemento umano, la sua presenza, il soggetto fotografato, la sua autonomia, sono fondamentali. Ciò che accade nella relazione fra la mia immaginazione e la personalità del soggetto, crea il risultato del lavoro. Non uso mai modelli professionisti. Solo persone. Uomini. La cui identità personale però non deve mai entrare nell’opera. Questo perchè il mio discorso artistico, la mia analisi e la mia sintesi sono rivolte all’Uomo in generale. Non mi considero una fotografa. Uso la fotografia solo come linguaggio, ma la mia visione diversa, mai rappresentativa. Nella scultura sono sempre sola. Lavoro soprattutto mediante un’attività inconscia. Mai usato modelli. Mai appreso tecniche. Lavoro con materiali tradizionali come l’argilla, o i metalli, con cui sperimento modi di procedere e di finire che sono del tutto personali, come ad esempio la terra cruda di molti miei lavori. Oppure li affido alla tradizione millenaria della fusione in bronzo.

Da cosa nascono le tue sculture? Hai un’idea già della forma finale quando inizi il lavoro? Fai degli schizzi preparatori ? Ti riferisci a iconografie o immagini pre-esistenti?

Le mie sculture nascono sempre di getto, in pochissimo tempo. Quando inizio un lavoro ho in mente solo un’idea molto astratta. In realtà la forma la trovo dentro la materia.”E’ già là” come diceva a ragione Michelangelo,”va solo tirata fuori”. E questo accade nello spazio brevissimo e concitato del lavoro. Non ho mai concepito l’idea di disegni preparatori. Tantomeno di modelli reali o preesistenti. Non fa parte del mio modo di procedere. Non ne sarei capace. Lavoro esclusivamente con le immagini interiori.

Qual è la collocazione e lo spazio ideale per te delle tue sculture?

Lo spazio ideale per le mie sculture potrebbe essere uno spazio aperto, urbano, dove le persone vivono. Si incontrano. Una collocazione che desse loro una sorta di esistenza mimetica con esse. Io cerco la vita emotiva nei miei lavori e quando realizzo delle piccole sculture, che considero bozzetti, le immagino poi condurre un’esistenza propria nelle loro dimensioni naturali di figure umane.

In che modo le tue sculture sono in relazione con la tua vita? In esse in che misura c’è il vissuto e in che misura il sogno?

C’è una fortissima relazione. C’è il vissuto, c’è il sogno e c’è il.. vivente!

In che equilibrio è, nel tuo lavoro, il gesto incontrollabile dell’inconscio e la creatività della parte razionale?

E’ molto sbilanciato sul primo aspetto. Impulso. Non riesco a interrompere un lavoro fnchè non finito. A volte è sfibrante.

In che senso è sfibrante? Inseguire costantemente quello che chiami l’impulso? Quando inizi un lavoro hai già ben chiaro dove vuoi arrivare? Nel tuo lavoro ami di più il senso dell’inizio, l’eccitazione dell’impulso, o quando puoi vedere il lavoro fnito?

E’ sfibrante perchè fra l’impulso iniziale e la fne del lavoro non c’è soluzione di continuità, soprattutto emotiva. La maggior parte delle volte non c’è neppure una pausa reale, se non per riprender fiato. Finchè il lavoro non ha raggiunto una consistenza formale e di senso. Allora mi posso fermare. Poi i dettagli si possono rivedere in seguito. All’inizio non so dove voglio arrivare. Lo intuisco quando la forma mi appare nella materia, poi sempre più chiaramente quando le sensazioni si fanno più intense. Amo l’intero processo. E’ ciò che mi fa star bene. Alcune mie sculture descrivono il processo: un uomo si unisce carnalmente con la materia informe, un altro feconda la Terra…

Perchè i tuoi lavori non hanno un titolo? Eppure sono opere con una componente narrativa, per di più dai l’idea di essere una persona poetica, persino trasognata. E’ una forma di distacco dall’osservatore, un tenere per te, oppure vuoi lasciargli maggiore possibilità interpretativa ?

I miei lavori non hanno un titolo perchè ho bisogno che le immagini restino aperte, vive, ambigue, come le fotografe, che devono poter parlare molti linguaggi: come aperto e vivo il simbolo, finchè mantiene la sua funzione evocativa e trasformatrice. La funzione che dovrebbe avere l’arte, quando è autentica. Preservare la qualità simbolica, contenere un margine di mistero. Le sculture sono più definite ma è un’apparenza. Anch’esse hanno la medesima inclinazione. Non “rappresentano” ma vivono un momento: in questo caso di Eros. Sono una sua emanazione. Sono figure in attesa, sorprese in un gesto, che custodiscono il desiderio, in alcune delle infinite declinazioni del dio. Io credo che un titolo, a meno che non sia parte integrante di un’opera, sia un laccio all’immaginario e una mortifcazione della funzione simbolica dell’arte: quella facoltà di generare esperienza che proprio ciò che la rende e la qualifca come Arte.

Il corpo umano è la prima forma di scultura per defnizione e un veicolo di messaggi. Hai scelto Eros. Cosa ti ha attirato verso questo soggetto?

Il mio interesse per il corpo qualcosa di molto antico. L’esser nudi rappresenta l’esser innocente ed inerme. Ma può dire infnite altre cose sull’essere umani. Eros è ciò che muove il mondo. Non solo erotismo naturalmente, interesse sensuale. L’interesse verso ogni cosa, ogni passione è Eros. Quando Eros irrompe nelle nostre vite ne siamo travolti. Uno stato di grazia, superiore a qualsiasi altra forza interiore: trascina tutto con sè. E’ ciò che ci fa percepire e riconoscere che la nostra natura animale è al tempo stesso connessa con la divinità, con l’aspetto sacrale dell’esperienza umana. Questo mi ha sempre incantato. Penso che non sia possibile vivere a lungo senza essere innamorati. Non necessariamente di un altro essere umano.

In alcune tue sculture si rimanda alla dimensione del mito, soprattutto alla favola di Amore e Psiche. Come rapporti il tuo lavoro all’erotismo come viene vissuto oggi?

Il mito di Amore e Psiche è sempre attivo nelle vite di tutti, anche se non ne siamo consapevoli. E’ l’incanto, il desiderio, ma anche il duro lavoro della relazione, pieno di sfide e di insidie. Per affrontare le quali c’è bisogno di forza d’animo e di un forte spirito di sacrifcio. Solo quello ci assicura il successo e la durata di una relazione. Venere nel mito, obbliga Psiche ad affrontare ogni genere di fatiche per concederle di riconnettersi con Amore. Oggi sembra quasi assente, in amore, proprio questo aspetto. Il valore del sacrifcio. In particolare riferito all’Ego personale. Viviamo da alcuni decenni in una cultura pervasa da Narciso, dove questo ormai è considerato “normale”. Il mito di Narciso però, sta a ricordarci l’infausto destino di questo tipo di relazioni. Ho avuto da sempre un’attenzione profonda per questi aspetti. La mia prima personale la dedicai a Narciso. Oggi il mio lavoro teso a restituire centralità alle spinte propulsive, generative di Eros, senza ignorarne le complessità.

I tuoi lavori fanno riferimento a un’idea “classica” della scultura, con una vena romantica e misticizzante. Sei d’accordo? A quali artisti in particolare sei stata particolarmente interessata nel tuo percorso?

Sicuramente c’è una classicità presente nel mio lavoro scultoreo che ha a che fare con il mio interesse per la scultura antica. Ho amato su tutti il Giambologna, Bernini, Michelangelo, Algardi, Canova, Rodin e moltissimo l’arte greca e romana.

Parlami dell’ombra. Cosa rappresenta nelle tue sculture? E’ una contrapposizione tra luce, condizione razionale e buio, negazione e non essere? Tra vita reale e inconscio?

L’Ombra, e qui torniamo a Jung, rappresenta per lui la parte inferiore, negativa della personalità individuale: concetto che poi si estenderà nel tempo al negativo dell’esistenza, in una parola al Male. Nel mio lavoro l’Ombra costituisce il polo dialettico fra diverse istanze, sia da un punto di vista intrapsichico, sia come componente in una dialettica di relazione. Siamo sotto il dominio di Eros e a lui appartengono le proiezioni di Ombra. Con Eros questa presenza di Ombra, sottile ma minacciosa, ingannevole, in apparenza romantica ma potenzialmente distruttiva, diventa ancora più dissonante, perchè si contrappone al desiderio di fusione, al desiderio di restare uniti per sempre. I contenuti di Ombra si esplicitano nelle fotografie sotto forma di figure che emergono dal buio, e che portano con sè le paure ,le miserie, le inquietudini, le vertigini temute o già vissute, le ossessioni che la psiche produce per tenere a distanza l’altro in amore e che hanno anche una funzione di controllo sulla relazione, di contrappeso, che protegge dal forte rischio di perdersi nell’altro.


INTERVISTE A FRANCESCA CESARONI:


La scomparsa di Marisa del Re, gallerista e mercante d’arte internazionale